5. Perché a Brescia, con Mazzone, ha fatto un calcio metafisico. Baggio è allora l’essenza del calcio: perché le sue giocate creano una bellezza il cui stupore sovverte per un attimo la stantia normalità del mondo. La grandezza di Roberto Baggio sta in una combinazione, quasi unica nella storia del calcio, tra una tecnica altissima e un’inventiva inaudita; il suo modo di giocare a pallone diventa così, non semplicemente un’esecuzione del gesto atletico finalizzato al goal, ma anzitutto una reinvenzione del gioco stesso attraverso forme, schemi, idee, gestualità, geometrie inconcepibili prima che lui li abbia compiuti. Ridimensionata la fase atletica, Baggio a Brescia ha raffinato e portato al parossismo la sua genialità tecnica, reinventando se stesso e il suo modo di giocare. L’allenatore che lo ha di più valorizzato e apprezzato, esaltandone le qualità, è stato Carletto Mazzone, in quello splendido crepuscolo che è stata la sua stagione a Brescia; in quel sublime canto del cigno, troviamo forse le perle più belle di Roberto Baggio.
Il club mantiene la categoria di appartenenza concludendo un’altra stagione a metà classifica, dopo aver cambiato due allenatori. Un’altra forma musicale tipica di queste zone è il canto ambrosiano, utilizzato in alcune solennità, monodico (cfr. ↑ Cfr. Genesi: «fiat lux» («sia fatta la luce»). Ci sono altre figure, una buona parte viene da Bassano per cui conosco il loro modo di lavorare, un modo di lavorare orizzontale. E a questa immagine iconica e leggendaria corrisponde stridentemente un carattere umano che è intimamente connesso con il suo modo di giocare a pallone: cioè quella strana melanconia che fa di Baggio un un uomo mite e riservato, che nel lampo mistico dei suoi occhi chiari conserva ancora la semplicità delle campagne vicentine. Strano, il destino di Baggio. Così, una giocata di Baggio è ciò che confuta il grigiore del mondo con un tocco di genio inaspettato; è l’imprevisto stupendo. Perché con lui la bellezza sovverte il codice del mondo. 4. Perché è un ero wagneriano che ha avuto sempre tutti (i mediocri) contro. Se così tanto lo si è amato e tifato, in una nazione campanilistica come l’Italia, a prescindere dalla bandiera della società che vestiva e dai suoi successi, questo strano fenomeno sociologico va forse letto così: Baggio ha giocato anzitutto contro se stesso, senza cedere mai, lottando contro una serie di infortuni micidiali e sfortune di percorso che gli hanno letteralmente tagliato le gambe, più di una volta.
Lo stesso Carlo Mazzone pare citasse Foster Wallace quando, al termine di un esaltante derby contro l’Atalanta, corse verso la curva avversaria dopo che Baggio con una tripletta ribaltò il risultato del match. Come un eroe wagneriano, Baggio ha avuto sempre tutti contro. Ma tutto ciò non ha fatto che accrescere la leggenda di Roberto Baggio. Guardiola, Toni, Pirlo, suoi compagni nella cittadina lombarda, rimasero affascinati dal gioco e dall’umanità di Baggio. Nonostante una rosa talentuosa, con giocatori come Francesco Totti, Alessandro Del Piero e Andrea Pirlo, gli Azzurri furono eliminati nella fase a gironi a causa della famigerata «combine» tra Svezia e Danimarca. Il primo allenatore che gli fu ostile fu Erikson, che lo riteneva immaturo, e lo volle dare in prestito; tra gli altri Capello, Sacchi, Ancellotti, Ulivieri lo esclusero dalla rosa dei titolari o addirittura non lo vollero in squadra. Se sei un appassionato di calcio, saprai quanto sia importante seguire ogni partita della tua squadra del cuore.
85% cotone italiano, 100% calcio, come non manca di precisare l’etichetta. Classic Football Shirts certifica il secondo posto del club britannico affermando che c’è sempre qualcosa di mitico e magico nelle maglie di questa squadra. Innumerevoli le sfide di Baggio, con le tante maglie che ha indossato: Vincenza, Fiorentina, Juventus, Milan, Bologna, Internazionale, Brescia; molte quelle vinte, moltissime quelle perdute. Vale, per Roberto Baggio, quanto Foster Wallace ha scritto di Federer: è uno di quei rari atleti in cui le leggi gravitazionali, in determinati istanti, parrebbero sospese. Pasolini, che avrebbe adorato Baggio, diceva che il goal è una sovversione del codice, ed è per questo che si ama il calcio. Uno che ha vinto il pallone d’oro, in grado di risolvere partite ad ogni livello, di fare goal e assist come nessun altro nella sua epoca, è anche uno che però ha quasi sempre dovuto lottare per un posto il squadra, per non scaldare la panchina. Al suo posto Niccolai, stopper appena sculettato del Cagliari. L’anno successivo, dunque, si riparte dalla Serie B con un nuovo allenatore, Mario Beretta e, dopo un campionato nel quale i rossoverdi arrivano a ridosso delle prime (settimo posto con Borgobello autore di 18 reti), per la stagione 2003-2004 arriva Riccardo Zampagna, viene confermato Mario Frick e vengono lanciati Luis Antonio Jimenez e Houssine Kharja.